domenica 22 aprile 2018

Dei bulli e della scuola

Leggo L'Amaca di Michele Serra, le critiche e i chiarimenti che lo stesso Serra procede a fornire.
Eppure la sua posizione non mi convince del tutto.
Ricordo gli anni del mio liceo classico e come mi sentissi in una bolla protetta rispetto agli altri istituti e a quello che tramite amiche che avevano fatto scelte differenti, poteva arrivare alle mie orecchie.
Eppure ricordo bene, nonostante siano passati decenni, il giorno in cui la campana di vetro in cui eravamo contenuti noi, 17 studenti, iniziò a creparsi come un cristallo del parabrezza.
Il professore di greco era un soggetto la cui presenza e austerità era fuori discussione, eravamo abituati persino a festeggiare per un 4 preso ad una sua versione e nessuno avrebbe osato contraddire i suoi metodi ancor più arcaici del suo linguaggio.
Non proprio nessuno, a dire il vero, infatti quel giorno, il figlio del cardiologo decise che poteva rifiutare di avere "padronanza nei gesti e nelle parole", per citare una qualità riconosciuta da Serra agli studenti del liceo classico, e rispose male al docente.
Eccolo lì il primo sassolino che si infrange sul cristallo della nostra campana.
Mi si dilatano le pupille, volgo lo sguardo al professore che ha una reazione adirata e prevedibile, ci aspettiamo conseguenze imminenti che però si diluiscono nel fiume di parole contrariate.
D'improvviso un altro sassolino, più grosso, colpisce il cristallo sempre più fragile della nostra campana, perché il figlio del cardiologo non si mostra minimamente "rispettoso delle regole" e messo in riga dalle stesse, ma gomiti sul tavolo e aria di sfida al prof, inizia ad applaudire.
Pian piano, poi via via in modo sempre più umiliante. Ed è a quel punto che ti aspetti l'uragano, la punizione divina, le sette piaghe dell'Apocalisse, la morte di tutti i primogeniti maschi dei cardiologi.
Invece la campana crolla in milioni di pezzi minuscoli, lasciandoci nudi davanti al silenzio del prof che resta immobile davanti all'umiliazione subita.
Ogni battito di mani del compagno di classe è il gong che precede l'apertura del sipario, lo srotolamento della realtà mai raccontata, mai resa visibile, quella che vede un altero e maturo professore di greco rendersi zero davanti ad un ragazzino il cui padre forse contribuisce al benessere della famiglia e di quegli extra che uno stipendio facilmente superabile da diverse angolature non potrebbe garantire.
Nessuno commenterà più quell'episodio, ma l'espressione di rammarico e impotenza di quel docente la ricordo ancora oggi.
Nessuna distinzione dunque tra le due incapacità, quella di un ragazzino maleducato , figlio di "buona famiglia" e frequentante un liceo classico all'epoca e quella di un ragazzino maleducato frequentante un istituto tecnico oggi.
Quello che cambia è la minore consapevolezza di una protezione che dall'alto garantisce il silenzio di chi poco può fare, anche qualora volesse alzare la voce.
Lo sapeva il professore che quel ragazzo era intoccabile, e il ragazzo ha contribuito a ricordarglielo e a sfigurarne l'autorità. Il potere gli derivava dell'appartenenza ad una classe sociale particolarmente elevata. Il potere del ragazzo proveniente dall'istituto tecnico invece deriva dal depauperamento che qualsiasi professore, operante in scuole di qualsiasi ordine o grado, sta sperimentando sulla sua pelle.
Quando è la scuola ad appiattirsi al livello degli studenti, invece di stimolare gli studenti a raggiungere standard di eccellenza nella conoscenza e nella cultura, è inevitabile l'inversione dei ruoli di potere.



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