Nuovo cinema

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martedì 7 gennaio 2014

E' difficile o inutile?


Con questo quesito ho chiuso una mail inviata al prof. Giacobbe.
Fino a che punto è possibile e sano spingersi con una persona verso la quale proviamo affetto, ma che sappiamo poter essere distruttiva per noi.
Parto dall' analisi di due libri " Confessioni di una sociopatica " di M. E. Thomas e il noto " Donne che amano troppo " di R. Norwood.
Li ho messi a confronto perché mi pare che si possano vedere come facce di una stessa medaglia.
Nel libro della Norwood la vittima è protagonista, nell' altro è la sociopatica a parlare di se e per se.
La Thomas appare sin da subito fiera del suo disturbo e tutto il libro è imperniato della sua orgogliosa capacità di riuscire negli obiettivi.
Mi chiedo cosa possa essere a questo punto definito disturbo o male se la persona che dovrebbe essere "vittima" di quel male non lo percepisce come tale, ma anzi lo vede come un punto di forza.
Una persona dominante viene vista come capace, attiva, dinamica e affascinante, soprattutto.
Una persona capace nella sua professione perché è la sua professione a richiedere proprio determinati requisiti caratteriali per cui non deve esistere lo scrupolo, la vergogna o il rimorso perché dovrebbe essere curata ?
Qualcuno mi potrebbe rispondere che una valida ragione potrebbe essere l' evitare di immettere nella società individui pericolosi, pericolosi non perché fisicamente violenti, ma perché manipolatori di altri soggetti che per subire il fascino di queste persone devono essere dei dipendenti affettivi.
E ora il mio sguardo si posa sulla vittima.
A mio avviso elemento più pericoloso del carnefice.
La vittima è socialmente passiva, non esercita fascino, non domina, le hanno scritto un libro mica se l' è scritto lei orgogliosa di esserne protagonista.
La vittima tende alla depressione se il carnefice le fa del male, ma anche se non glielo fa, perché lei quel male lo vuole sentire per sentirsi viva.


Delle due figure preferisco la prima.
Una persona nevrotica manifesterà prima o poi i segnali del suo disturbo e serenamente possiamo allontanarcene senza essere perseguitati.
Nel caso di un dipendente affettivo è difficile staccare la spina senza che l' altro blocchi la mano.
Il prof. Giacobbe mi scrive " Cara Emanuela, la dipendenza affettiva è un sintomo infantile. Non ti ami abbastanza per stare bene con te stessa e avere bisogno di un altro comunque sia anche nevrotico? ".
Star bene con se stessi è punto d' inizio per poi aprire la porta di casa e andare in direzione del mondo, chiunque lo popoli.
Fermarsi per dare una mano a chi in quel momento ha bisogno è umana e positiva solidarietà.
Andare oltre, facendosi tirare dentro discorsi che ci spostano dal punto di equilibrio che noi, in quanto adulti, abbiamo persino il dovere di cercare è infantile.
Due bambini in coppia non avranno mammelle da succhiare e dunque sarà impossibile trovare beneficio dall' essersi spostati dallo stato di infante individuale a quello di infanti in coppia o peggio ancora, in caso di amanti, di nido senza adulti.
Un adulto può aiutare un bambino fin quando l' età anagrafica di quest' ultimo rientra nei parametri che lo identificano di diritto come bambino, un adulto non ha interesse nell' aiutare chi non è capace di crescere, operazione che deve essere individuale.
Quindi i bambini adulti sono condannati a trovare partner genitoriali, imperfetti ma non adulti.